(intervento al convegno Togliatti e la Costituzione della Repubblica democratica fondata sul lavoro, organizzato dall’associazione “Futura Umanità. Per la storia e la memoria del Pci”, Roma, 8 novembre 2013; ora in Marx Ventuno, 2014, n.1-2)
Alexander Höbel
1. In un colloquio col comunista tedesco Ernst Fischer, svoltosi a Mosca nella primavera del 1937, in una delle fasi più acute dei processi staliniani, Togliatti – riconoscendo che ci si trovava dinanzi a “un oscuramento transitorio di tutto ciò cui tendiamo”, effetto di “una serie di circostanze concomitanti” – ne ricavava l’esigenza di trarne lezioni per il futuro. “Se noi ritorneremo nei nostri paesi – diceva a Fischer – ci deve essere chiaro fin dal principio: lotta per il socialismo è lotta per una maggiore democrazia” [Agosti, 219]. Non si sarebbe trattato, quindi, di riprodurre meccanicamente dinamiche e percorsi che peraltro erano frutto di particolari condizioni storiche, ma di seguire una via diversa, che avesse al centro il legame fra trasformazione socialista e allargamento della democrazia.
Tale acquisizione era peraltro già stata sviluppata Togliatti negli anni precedenti. Già nel 1927-28, portando avanti la sua riflessione sulle “basi sociali del fascismo” e sulla strategia da adottare contro il regime, Ercoli aveva individuato una “doppia prospettiva”: quella della “rivoluzione antifascista” come “rivoluzione democratica popolare”, e quella della lotta che i comunisti avrebbero dovuto condurre per portare il processo alle sue estreme conseguenze, ossia fino a una rivoluzione proletaria con finalità socialiste. In questo senso, affermava, “la lotta per le rivendicazioni democratiche è, nella situazione italiana, parte integrante della lotta di classe del proletariato” [Agosti, 103-6]. La sua concezione si saldava in questo con quella di Gramsci e con la parola d’ordine dell’Assemblea costituente che il leader del Partito comunista d’Italia, ormai nelle carceri fasciste, aveva posto fin dal 1924 come obiettivo dell’agitazione antifascista del Partito. Già dal 1925, dunque, il Pcd’I aveva lanciato la prospettiva di “una assemblea repubblicana che sorga sulla base dei Comitati operai e contadini e organizzi tutte le forze popolari antifasciste e antimonarchiche”, ponendo accanto ad essa altri due obiettivi: il “controllo operaio sull’industria” e “la terra ai contadini”. Si trattava dunque di un programma rivoluzionario e al tempo stesso democratico, di una piattaforma sulla cui base ci si rivolgeva alle altre forze antifasciste, cercando anche di saldare l’alleanza tra operai del Nord e contadini meridionali [Spriano 1967, pp. 464, 470].