di G. Pesce del 1995
Mi sbarcarono a Ventotene nel settembre del 1940.
Venivo dal carcere di Alessandria,portavo con me la grande
esperienza raccolta nella guerra di Spagna.Pensavo per questo di essere preparato ad affrontare il mondo difficile dell’antifascismo. Ero molto giovane, avevo fatto il tirocinio politico, oltre che in Spagna, in Francia nel sindacato de…
i minatori e nel PCF. Del partito italiano non sapevo molto, conoscevo ed avevo visto alcuni dirigenti comunisti italiani sui fronti della guerra in Spagna.
Della pratica di partito ero digiuno e questo creava in me imbarazzo e titubanza. Appena sbarcato a Ventotene fui
sospinto con altri deportati verso l’edificio della direzione del confino.Ai lati del tragitto uomini silenziosi ad osservare noi, gli ultimi arrivati. Ci vollero giorni perché potessi rinfrancarmi ed accettare un metodo di vita che non conoscevo.Mi ci vollero giorni per rinfrancarmi e per avvicinarmi ad alcuni dei confinati che mi parvero sospettosi e con i quali non era facile dialogare.
Un giorno si fece avanti un giovane dagli occhi brillanti, molto
educato nell’interloquire. Non l’avevo mai visto prima. Era Eugenio
Curiel. Divenne forse il più importante dei miei maestri della politica.Quando mi parlava le sue parole colpivano il mio animo risvegliando le tendenze tese a capire, a imparare.Curiel fu per me un compagno prezioso, un amico fidato, un maestro.
Egli riusciva a farmi comprendere situazioni e condizioni della
cui esistenza io ero a conoscenza ma delle quali non sapevo spiegarmi né le origini né gli effetti. Ascoltare Curiel non era soltanto apprendere del nuovo sull’azione antifascista.
Ascoltare Curiel era capire il significato dell’economia, le
leggi che la governano e gli aspetti meno chiari della loro influenza
sulla vita dei popoli. E dalle leggi borghesi dell’economia
Curiel passava all’impegno marxista che doveva agire nel profondo
delle rivoluzioni economiche,negli assetti politici, nella cultura.
Per Curiel, per la sua preparazione,per i suoi obiettivi, alla base di tutto stava la cultura; il conoscere, il sapere, l’insegnare erano le basi su cui l’uomo doveva essere preparato per affrontare con possibilità e successo il mutamento profondo. Da un mondo dominato da speculatori,schiavisti ad un mondo libero,
senza speculazioni, senza sfruttamento.Curiel come tutti i bravi
maestri non si limitava a parlarmi,a istruirmi, a dirmi del bene e del
male delle varie posizioni politiche,dei vari metodi di affrontare i problemi che erano sempre tanti e difficili soggettivamente e oggettivamente.Eugenio Curiel era anche un buon
ascoltatore dell’interlocutore, in questo caso da me voleva conoscere,voleva sapere. Un giorno all’improvviso
mi chiese perché avevo deciso a 18 anni di andare in
Spagna a combattere. Io non dissi parola per un breve tratto e anche lui tacque continuando a fissarmi.Uno sguardo che era una domanda la quale esigeva una risposta vera.
Ricordo quel giorno, ricordo anche la mia risposta. Una risposta breve che non parve soddisfarlo perché i suoi occhi continuavano a fissarmi.Ci sono andato – dissi – perché mi sono convinto che un cittadino libero,una coscienza libera dovesse scegliere la strada più incisiva per affrontare il fascismo e il nazismo che stavano montando una campagna infame per la seconda guerra
mondiale. A questo punto Curiel disse: “Questo va bene in linea generale.Tutti noi siamo convinti che in Spagna si giocava una grande partita tra democrazia e dittatura.Ma nei particolari quali sono gli episodi che ti hanno fatto scegliere la Spagna?”.
Rimasi un poco sconcertato e nella mia mente affluirono episodi, nomi,situazioni. Rividi il mio lavoro di tredicenne in miniera, la mia
battaglia nel sindacato, il mio entrare nel Partito. Mi parve di riudire
il discorso della “Passionaria”diffuso dalla radio di Parigi, provai
grande emozione nel riandare alle sue parole: «Se la Spagna democratica sarà sconfitta un torrente di sangue inonderà l’Europa».Mentre pensavo mi accorsi che stavo dicendo quel giorno a Curiel quello che lui voleva sapere di me e
io allora gli dissi del mio sentirmi orgoglioso di aver conosciuto in
terra iberica i grandi dell’antifascismo,grandi come Luigi Longo, Di
Vittorio, Teresa Noce, Rosselli,Nenni, Vittorio Vidali.Curiel mi ascoltava senza emozione apparente, il suo interesse per le
mie parole erano però evidenti e io allora gli raccontai della battaglia di Brunelli di Jarama, della difesa di Madrid.
Quando gli raccontai della battaglia di Guadalajara l’emozione in lui mi parve evidente per le pupille che parevano dilatarsi per quel muovere leggermente le labbra.Continuai a parlare per lungo tempo.La mia esperienza Curiel la raccoglieva perché era sicuramente importante ed inedita perché io ero il primo garibaldino delle Brigate internazionali arrivato a Ventotene.
Una testimonianza diretta la mia. È importante: per il confino o per il carcere, molti garibaldini non avevano potuto essere nelle Brigate. E c’era rimpianto tra molti per quella assenza forzata dai campi di battaglia di Spagna. Da quel mio incontro con Curiel ne derivarono altri. I compagni volevano sapere, volevano sapere mostrando grande interesse per quanto potevamo raccontare.
E questo mi inorgogliva. Mi sentivo partecipe a un importante schieramento antifascista nel quale era possibile operare per un riscatto della democrazia che ci impegnava tutti.E dopo Curiel altri dirigenti parlavano con me e ogni incontro era una lezione di democrazia. Quella fu la mia scuola, la mia università
politica, il mio maturare come uomo e come attivo esponente comunista.Rividi Curiel a Milano durante la esistenza, eravamo in clandestinità.Io a Milano portavo, da Torino,l’esperienza della guerra dei GAP,Curiel andava rafforzando il suo Fronte della Gioventù. Ci incontrammo a Milano, in Corso Manforte.
Ci incontrammo e non ci dicemmo nulla. Ci fu fra di noi soltanto
uno sguardo, uno sguardo che voleva dire: «Compagno, Ti
abbraccio».